mercoledì 12 agosto 2009


Prima di descrivere la figura rappresentata nella pagina, nessuno potrebbe indovinare di cosa si tratta. Tutte le ipotesi più fantasiose non troverebbero conferma in quello che questa figura realmente rappresenta. Sarà sufficiente dire che si tratta di una lavandaia intenta nel suo lavoro con il secchio accanto e subito, l’immagine prima sconosciuta, diventerà a noi familiare. D’altra parte, come abbiamo detto, il cervello non riceve dall’occhio fotografie ma una gran quantità di segnali elettrochimici che consento al sistema cerebrale di ricostruire l’immagine.Vedere e guardare.
La parola evoca, non descrive. Dire che vediamo quello che conosciamo è ammettere che il nostro sistema cerebrale è fondamentalmente un immenso archivio dati, all’interno del quale sono contenute le esperienze di una vita intera. Il cervello al primo stadio riconosce le strutture significanti, quindi le linee verticali, orizzontali ed oblique della casa. Se osservando il disegno della casa fatto da un bambino siamo in grado di riconosce che quella che le linee descrivono è una unità abitativa, vuol dire che il disegno è fatta bene. Un indigeno che non ha mai visto una nave non può sapere che si tratta di un mezzo di trasporto. Nell’archivio del suo cervello l’immagine nave non esiste e quindi, non potrà risalire alla sua funzione, fino a quando non ci salirà sopra o non la vedrà in azione. Questo immenso magazzino che si chiama “memoria umana”raccoglie ed organizza le immagini sotto forma di micro informazioni che, sollecitate dalla parola, sono in grado di ricostituirsi in immagine al momento opportuno. L’idea che ha l’adulto della casa, non corrisponde a quella del bambino. Alla parola “casa” il cervello dell’adulto fa corrispondere molte più immagini date dall’esperienza visiva e comportamentale. Avremmo sicuramente notato l ‘assoluta spontaneità e freschezza rappresentativa che il bambino ha quando disegna una situazione. Potersi riferire a strutture significanti è di gran lunga più semplice che descrive un oggetto nei suoi dettagli. Quando siamo invitati da adulti a disegnare qualcosa per descrivere una situazione, quasi sempre diciamo di non esserne capaci. Quello che in realtà non sappiamo fare è far corrispondere l’immagine memoria al disegno, perché le immagini che evoca la parola sotto forma di richiesta sono tante, piuttosto complesse e complete di prospettiva.Possiamo dire che da questo punto di vista il bambino sa disegnare meglio dell’adulto, in quanto non si preoccupa se le braccia della figura disegnata sul foglio corrispondono o meno alla giusta prospettiva, si preoccupa semmai che il significato arrivi a destinazione. Se da un lato l’esperienza arricchisce l’archivio della memoria, dall’altro lato la compressione dei dati, provoca nel sistema cerebrale, un certo rallentamento delle registrazioni sensoriali. Sappiamo che il bambino impara velocemente ed è in grado di tradurre all’istante sotto forma di disegno situazioni che avremmo difficoltà a riconoscere come reali anche se di fatto lo sono. Lo stesso Picasso diceva: “tu prova a fare un cerchio perfetto con la mano. Siccome non si può fare, quello che ne uscirà fuori è il tuo stile”.Chiediamoci se la musica che accompagna i nostri acquisti al supermercato può fornirci le stesse sensazioni di quella ascoltata con un buon impianto stereo, a luci soffuse, dentro una stanza, oppure a teatro. Nel primo caso la musica corrisponde al passivo sentire. Il secondo caso ci dice che stiamo ascoltando la musica. La differenza non può che essere grande, visto che al supermercato usufruiamo di una melodia di sottofondo, mentre quando ascoltiamo musica per una nostra deliberata scelta, partecipiamo all’evento. La differenza che passa tra sentire ed ascoltare è la stessa che c’è tra vedere e guardare. Le immagini viste durante il corso di una giornata sono tantissime, quelle guardate non superano il centinaio. Guardare, come ascoltare, è avere un doppio di coscienza nei confronti dell’oggetto osservato, è sempre vedere noi stessi che guardiamo. E’il diverso atteggiamento che abbiamo tra una lettura di evasione e lo studio. L’esistenza di un bambino è fondamentalmente fatta di appetiti, quindi è normale che rispetto all’adulto, il suo grado di attenzione e di assimilazione sia maggiore. Quella che preoccupa è la progressiva perdita di questa fondamentale facoltà nella crescita. E’ come se nell’adulto medio il cervello si accontentasse della traccia senza richiedere il racconto.Il cervello riconosce valore alle funzioni attive. La curiosità è il principale stimolo che conduce alla conoscenza. Il sistema cerebrale non solo organizza la nostra vita ma su di essa esercita un sistema complesso di controllo. Ricordare è informare il cervello che quello che stiamo facendo oggi lo faremo anche domani, o che l’esperienza acquisita ha una qualche necessità di essere salvata. Il non ricordarsi quello che si impara a scuola dipende dal non legare l’esperienza ad una funzione attiva. Gli esami rappresentano un esercizio provvisorio; sono la fondamentale causa delle dimenticanze didattiche perché si costituiscono come punto di arrivo dell’esperienza e non come punto di ripartenza. Studiare per sostenere un esame è legare al fattore tempo la capacità mnemonica. Dobbiamo ammettere che capita molto di rado che qualcuno ci chieda le date di nascita di Michelangelo e di Dante. Può comunque servire a poco studiare se quello che si apprende non viene associato ad una funzione attiva. Il cervello non cancella le informazioni, diciamo che le mette in soffitta, scegliendo dove metterle in relazione al grado di utilizzo. Andarle a riprendere dopo anni è piuttosto dura. Arrivati a questo punto è evidente che il meccanismo in grado di riportare indietro parole ed immagini dal passato, dipende dalla collocazione delle immagini mnemoniche, da come ed in quali condizioni sono state salvate. Il famoso “ripasso” che tanto abbiamo frequentato soprattutto prima degli esami, è il tentativo più o meno riuscito, di salvare le ricostruzioni operate dalla memoria in relazione a quel sempre odiatissimo libro.

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