mercoledì 12 agosto 2009

Il corpo ed il vestito

Il mio insegnante di storia dell’arte contemporanea amava ripetere spesso che dopo Raffaello le madonne sono soltanto belle. E’ una affermazione che coglie nel segno, in quanto attraverso questa nuova parentela che viene a stabilirsi tra religione e bellezza, si riesuma fondamentalmente un’idea pagana dell’arte. Michelangelo è l’artista che con maggiore efficacia mette in risalto quella che ormai stava diventata un’esigenza inevitabile. Il passaggio dal simbolo all’allegoria è un fondamentale ritorno alle condizioni della storia greco-romana. Sappiamo che i popoli antichi, tranne i greci, rappresentavano il corpo vestito. Al corpo vestito vengono aggiunti quegli elementi che l’animale non ha. Solo l’animale in natura è nudo, mentre la dignità dell’uomo si manifesta attraverso la sua appartenenza all’abito, precisamente all’abito cerimoniale. Quindi il corpo attraverso l’abito si sacralizza. Solo i greci avevano inteso vedere nel corpo nudo elementi di essenzialità, di appartenenza ad una geometria divina. Se dal punto di vista dell’ebraismo, della cultura egizia, del mondo assiro babilonese, il corpo nudo è profano, nel mondo greco abbiamo una profanità che si sacralizza attraverso la purificazione del corpo privo di elementi aggiuntivi. Tutta la paganità ha quindi un problema della messa a nudo del corpo come visione diametralmente opposta ad altre civiltà. Giunti al Cristianesimo che in termini di rappresentazione è un misto di ebraismo e paganità, si è posta da subito la questione della rappresentazione, risolta in parte attraverso la simbologia medievale, ma tornata come problema nel Rinascimento. Da questo momento il Cristianesimo deve procedere in termini contraddittori, perché se da un lato l’ebraismo tende ad annullare la rappresentazione di Dio, in quanto Dio non è una figura umana, dall’altra parte l’influenza della cultura greca porta alla rappresentazione del Cristo in croce. Anche se con la comparsa del drappo, siamo in presenza del massimo della sacralità rappresentata nei termini della paganità. E’ di questo che si Accorge Michelangelo. Radicalizzando il confronto dipinge il Cristo senza drappo, facendolo appartenere di fatto alla tradizione greca. Sulla successiva vestizione degli ignudi da parte della Controriforma c’entra poco l’atteggiamento sessuofobico della Chiesa. Quello che con il Concilio di Trento si poneva era il problema dell’appartenenza. Se analizziamo la cosa da questo punto di vista vediamo che, passando per il Manierismo fino ad arrivare al Barocco, l’aspetto del vestito si impone a tal punto da diventare il vero soggetto pittorico. Dopo la vestizione degli ignudi di Michelangelo, l’indumento assume valenza sacrale. Per ritrovare la questione del drappo bisogna arrivare ai nostri giorni con la moda che presenta un tipo di donna esaltata nella nudità e nella vestizione. La moda ci presenta una donna ieratica, addirittura casta ed asessuata. Il portamento e l’abito creano distanza, producono sensazione ed al contempo diventano tabù. Il paradosso della moda è quello di indurre alla libertà recludendo il corpo, facendolo ridiventare in qualche modo sacro. Il nudo ed il vestito si ricongiungono nel corpo.
Proprio come avviene per la musica, i colori possono essere accordati tra loro. A differenza delle note musicali va ricordato che la somma di due o più colori non è separabile una volta ottenuta. Per accordi cromatici si intende la capacità che i colori hanno di dialogare tra loro dando vita ad un rapporto visivo stabile. Per esempio il rapporto tra giallo e violetto è un accordo cromatico a due, altri accordi cromatici possono essere ottenuti dai colori presenti nel disco cromatico. Come il senso compiuto di una parola si esplicita in relazione ad altre parole, così un colore è da considerarsi in relazione con altri colori. Influenza psicologica del colore.
Tra tutti gli aspetti che riguardano il colore, quello psicologico è senz’altro il più accattivante, non altro perché ci consente una maggiore conoscenza di noi stessi. Quest’ultima parte della passeggiata che ci siamo concessi all’interno dei mondo dei colori è quella che in qualche modo rimette insieme i pezzi dei discorsi fatti in precedenza a riguardo delle relazioni tra fisiologia ottica, fisica del colore e psicologia. Tra tutte le strade possibili che danno accesso al mondo dei colori è stata scelta quella di mezzo, perché se da un lato questa trattazione non voleva essere banale, dall’altro, la passeggiata che ci siamo concessi, doveva riportarci a casa per l’ora di pranzo. Sapere che il colore è una sensazione prodotta da un tipo di onde elettromagnetiche non impedirà a nessuno di prendere il pennello in mano e continuare a dipingere come faceva prima di inciampare su questi argomenti. Una maggiore consapevolezza può solo che servire a migliorare il rapporto tra noi e quello che stiamo facendo. Tutti quanti nel corso della vita ci siamo serviti di strumenti che potessero farci avanzare rapidamente verso luoghi che avremmo dovuto poi esplorare da soli. Accedere alle conoscenze che il mondo ci mette a disposizione, corrisponde a quel mettere dentro lo zaino lo stretto necessario che serve per affrontare una esplorazione da compiersi in chiave individuale. E’ opportuno in questi casi, servirsi di strumenti che possano farci procedere senza troppe titubanze verso la meta, perché è sempre piuttosto comodo applicare il principio del metodo scientifico alla vita: ottenere il massimo con il minor sforzo possibile. Questo manuale non è certo un vangelo, ma il fatto che sia stato scritto per servire a qualcosa, dovrebbe perlomeno renderlo utile alla curiosità. Sono tra quelli che non credono che si possa imparare a suonare la chitarra in 24 ore, come non penso che determinati corsi di pittura possano servire se prima non ci si appropria degli strumenti compositivi necessari per dar vita ad un’opera. E’ sbagliato credere che i maestri della pittura fossero degli ingenui. L’arte è stata da sempre un modo per dire altro. Tra gli impressionisti ed il funzionamento della televisione a colori la differenza è nella diversità degli strumenti e non nel principio di mescolanza della luce. Dire che l’impressionismo prima ed il divisionismo poi abbiano offerto alla tecnologia importanti strumenti per procedere oltre, è una considerazione esatta. Le opere che hanno fatto la storia dell’arte non sono mai state quella cosa qualunque da appendere al muro. L’influenza psicologica del colore è data dal risultato di complesse operazioni cerebrali, alle quali la scienza ha potuto dare solo in parte una spiegazione. Per quanto il progresso scientifico abbia corroso le sponde del mistero che avvolge il funzionamento del cervello, molti punti oscuri restano a testimonianza della complessità dei meccanismi che regolano il funzionamento di questa straordinaria macchina che ci mette in contatto con noi stessi e con il mondo. Quella che non si può negare è l’influenza che il colore ha sulla nostra vita. La tendenza a fare del colore una disputa di gusto è la ragione principale della superficialità con la quale si tende ad ignorare i fondamenti veri delle qualità cromatiche. Qualunque approccio che releghi il colore nell’ambito del “più o meno simpatico” è destinato a non avere alcuna fortuna. Attraverso il colore si comunicano intenzioni. Il colore può creare fascino e mistero, essere sensuale e materico, identificare gioia e introspezione. La terminologia essenziale distingue solo oscurità e chiarezza; quando un linguaggio contiene un terzo colore, si tratta sempre del rosso. Al primo livello compaiono solo le distinzioni più semplici. Il numero di colori che possiamo riconoscere con sicurezza non supera il numero di sei; si tratta dei tre primari e dei secondari che li connettono. Le quattro dimensioni di colore a noi note, sono quella del giallo, del blu, del rosso e le scale del grigio. I Maori hanno tremila nomi di colori ma questo non significa che li percepiscano tutti. Al contrario, avere più nomi di colori è non riuscire ad assimilare quelli che appartengono a strutture differenti. Nella scala della percezione è la forma ad essere assimilata per prima, questo perché la percezione va dritta alla cosa senza essere influenzata dal colore. Possiamo afferrare il senso di uno sguardo pur non ricordando il colore degli occhi. D’altra parte la percezione dei colori è tardiva nei bambini, ed anche negli adulti spesso è soggetta a confusione, specie per quello che riguarda i colori non spettrali. Parlando di energia radiante a proposito di colori, abbiamo preferito alla loro simpatia la forza, siamo andati ad indagare le mutazioni che fanno di un’onda luminosa uno stimolo sensoriale, ci siamo soffermati all’interno del vortice che fa di un segnale elettrochimico una sensazione costante, per poi ritornare alla semplicità di una sedia dipinta di rosso. I fotoni della luce e la sedia rossa sono le due facce della stessa medaglia. Rappresentano i due mondi: quello visibile e quello nascosto. Non sono forse immagini reali quelle che possiamo vedere attraverso la lente di un microscopio? Avere coscienza che quello che avviene in superficie è il risultato di ben più complessi meccanismi, ci dà la misura di quanto la realtà resti a noi in gran parte sconosciuta. Va bene anche tornare a scegliere le tende che si intonano con la parete; d’altra parte la nostra esistenza quotidiana ha già i suoi fardelli, però forse ci dobbiamo la riflessione che non tutto quello che a noi sembra, esiste, come non tutto quello che consideriamo invisibile è nulla. I colori non sono una proprietà dei materiali. Questa semplice ed apparente scontata affermazione si porta appresso una verità sconvolgente: senza la luce il colore non esiste. Possiamo prendere in mano un oggetto, seguirne con le dita i contorni, ricevere da questo oggetto la sensazione di liscio o grezzo, di caldo o freddo, indipendentemente che sia illuminato dalla luce o messo dentro una stanza al buio. Le cose stanno in un modo diverso per il colore che, non essendo una proprietà del materiale non ci segue se lo portiamo dentro la stanza. Il nostro maglione rosso è tale in virtù della luce. In presenza di oscurità diventa nero. Se la luce non contenesse le lunghezze d’onda del rosso i nostri prati e le montagne alberate ci apparirebbero grigie come il cemento. Fatti questi ragionamenti, può il colore non influenzare la nostra psiche ed i nostri comportamenti? Psicologia del colore. Avviciniamoci alla psicologia del colore seguendo un esempio che chiarisce meglio l’influenza del colore sulle nostre scelte. Il vaso di frutta. Siete di fronte ad un vaso di frutta. Il disagio che provate nel non sapere perché il vaso è lì e che cosa intendeva con questo gesto chi lo ha messo nella vostra stanza, è una condizione di preoccupato stupore che si manifesta con il viola. Il viola è il colore dell’ansia e del disagio. La presa di coscienza che la frutta sia stata messa lì a fin di bene è rappresentata dalla sensibilità psichica dell’azzurro. L’apprezzamento cosciente del gesto è completato dal blu che rappresenta la sfera dell’io. L’autoaffermazione che anticipa il gesto, quel dire “io ho fame, io voglio” corrisponde al verde che nella psicologia del colore rappresenta il possesso delle nostre facoltà, il valore egocentrico del sentirci nel mezzo di una azione da compiere. La scelta di prendere un frutto invece di un altro è data dal giallo che corrisponde alla capacità selettiva di scelta. Il contatto con il frutto prescelto viene simboleggiato dall’arancio che essendo il colore di massima vitalità corrisponde al contato con il reale. Il rosso incarna il gesto materico del consumare il frutto scelto con il giallo e preso con l’arancio. Questo esempio piuttosto facile da ricordare è la mappa delle nostre intenzioni, valida per definire il percorso che quotidianamente facciamo per raggiungere uno scopo, indipendentemente che si tratti di scegliere un frutto od un oggetto da acquistare.Il viola. Il viola (da non confondere con il violetto) non è un colore dello spettro del visibile, è quindi un colore autoprodotto dal cervello. Il fatto che si ottenga per mescolanza tra blu e rosso sta a significare che esiste un conflitto tra due energie diverse. Quella che si genera all’interno del viola è una opposizione, una sorta di predominanza di un colore sull’altro. E’ sufficiente una minima quantità di rosso perché il viola assuma una colorazione rossastra; basta un po’ di blu perché la dominante diventi bluastra. Richiamandoci ai discorsi fatti in precedenza, due opposte energie dovrebbero compensarsi, nel caso del viola questo non succede. Si è in presenza di un equilibrio precario. Il viola assume questo significato di disagio proprio per la sua instabilità. Possiamo essere certi che non è elevato il numero delle persone che riconoscono il viola con certezza, dando a questo colore un nome diverso. L’inattività del viola come colore oscillante tra caldo e freddo è la ragione delle urgenze che manifesta. Quando i bambini, attraverso i loro disegni mostrano disagio, spesso lo fanno colorando di viola le parti interessate da questa ansia. Se si tratta di bocca e viso il disagio è nella parola, se la parte interessata sono le mani l’urgenza è quella riferita al contatto sereno con il mondo e con le cose.Blu-azzurro. La realtà sensibile ha come simbolo l’azzurro che, corrispondendo geometricamente al cerchio che rappresenta la dimensione dell’io. Sebbene il blu si richiami direttamente al suo complementare arancio , non è un colore attivo. La sua collocazione nell’emisfero sinistro del cervello e la definizione di colore freddo fanno del blu il colore di massima introspezione. Detto colore della sensibilità psichica è quello che meglio di ogni altro è riconducibile al pensiero. Il simbolo del cerchio lo mostra chiuso ed implosivo, poco incline alla materialità. E’ di blu che si diventa avidi in età avanzata: corrisponde al desiderio di pace e di tranquillità. Possiamo definirlo come il colore del non apparire, esalta l’intimità, può corrispondere ad una solidità intellettiva. Pensato come azzurro è invece il percorso non ancora compiuto nei confronti delle esperienze dirette. Anche se questo colore evidenzia il distacco dalla materialità, l’urgenza che esprime è rassicurante perché in procinto di connettersi con il verde.Il verde. Il verde è il colore della crescita e della piena consapevolezza dell’io. Attraverso il verde viene a manifestarsi una accentuazione della personalità che può sfociare nell’egocentrismo. Oltre che essere il colore della costanza e del riconoscimento del proprio valore, attraverso il verde si manifesta anche il senso di possesso. E’ un colore che normalmente si presenta in modo fugace nelle scelte coloristiche del singolo individuo. Con il verde manifestiamo la nostra consapevolezza di essere parte del mondo e di saperci relazionare con le situazioni che di volta in volta si presentano. Quel leggero ripiegarsi su se stesso, in quanto colore freddo, è il modo che il verde ha di attingere energie dalla sfera dei bisogni che vengono comunque soddisfatti nella consapevolezza dei risultati che si possono raggiungere.Il giallo. E’ il colore di massima luminosità ed in quanto tale si lega geometricamente al triangolo. Il giallo rappresenta la sublimazione della materia attraverso la luce. A questo colore siamo soliti associare sapere ed intelligenza. Essendo il colore della selettività, la sua componente razionale è innegabile. Con il giallo indichiamo la scelta da compiersi; questo suo precedere il gesto lo rende padrone consapevole dell’azione. In chiara opposizione al buio, esprime la gioia di vivere, manifestandola sotto forma di convivialità. A questo colore è dato il compito di tracciare una strada da percorrere con ottimismo e razionalità. Il suo particolare ruolo di colore centrale nello spettro del visibile lo rende caldo e freddo nello stesso tempo. La sua natura si evidenzia in relazione alle situazioni contingenti. Può essere freddo e razionale in presenza del nero, come può essere caldo e conviviale in presenza del bianco.L’arancio. Compiuta la scelta selettiva con il giallo, l’arancio entra in diretto rapporto con la materialità del mondo. Con l’arancio manifestiamo forza ed energia. Si tratta di un colore capace di compiere una severa rottura con il dubbio. Essendo simbolo dell’evoluzione, gli è attribuita la capacità di completare il percorso che dal pensiero porta alla materia. L’arancio ha la freschezza giovanile e l’energia dirompente della novità. Il rosso. Il rosso è per definizione coloristica una dimensione stabile. A questo colore noto a tutte le civiltà del mondo come rosso, viene attribuito il valore di una parola che serve ad indicare qualcosa di certo e di strutturale. Materialità, resistenza e forza sono le caratteristiche del rosso, in quanto capace di prendere e cedere energia dall’azione diretta. Nel rosso giungono a maturazione i propositi coltivati attraverso il blu, verde il giallo. Essendo il colore di massima permanenza retinica ed occupando un ruolo di rilievo nello spettro del visibile, conserva più di ogni altro il valore della sua specificità. Simbolicamente legato al quadrato e al cubo, incarna vigore e stabilità nel rapporto con gli altri colori. Con il rosso si completa l’azione diretta iniziata con l’arancio.Il percorso che ci ha consentito, attraverso l’esempio del vaso di frutta, di affrontare la relazione tra colore e atteggiamento individuale, si è concluso con l’energia digestiva del rosso. Ovviamente tutti i colori conosciuti hanno una incidenza psicologica su di noi ma alcuni più di altri determinano dei veri e propri condizionamenti. Questo dipende dal loro carattere, dal grado di luminosità e dalla loro collocazione all’interno dello spettro del visibile. E’ stato detto che al primo stadio l’uomo riconosce la chiarezza e l’oscurità. Il bianco ed il nero costituiscono la polarità entro la quale si muove questa oscillazione tra il giorno e la notte.Il bianco. Il bianco è la somma di tutti i colori dello spettro del visibile, si ottiene per proiezione di luci colorate e non per mescolanza di pigmenti. Come è stato detto, Newton, con il suo importante esperimento del prisma, ha dimostrato che la luce bianca del Sole contiene i colori dell’arcobaleno. Psicologicamente il bianco è un colore attivo. Attraverso il bianco manifestiamo purezza ed energia. La sua forza di irradiazione ne fa un colore capace di conquistare lo spazio. Al bianco associamo la genesi e la lievitazione gravitazionale. La consapevolezza che nel bianco siano compresi gli altri colori, si traduce in rassicurante accettazione del mondo.Il nero. Dire che il nero rappresenta la negatività è semplicistico. E’ senza dubbio il colore di maggiore peso gravitazionale. Al nero associamo il buio e l’assenza di colore. La sua passività può essere intesa anche come funzionale all’esaltazione degli altri colori. Definito colore attoriale, è l’unico in grado di operare una effettiva cancellazione corporea. Il nero del monologante è esaltazione della parola. Ci si veste di nero non per indicare negatività ma per esaltare il volto: regione verbale ed espressiva del corpo. Ottenuto per somma sottrattiva dei colori, ha un significato ambivalente, perché se da un lato manifesta una innegabile passività, dall’altro si tramuta in supporto funzionale all’ esaltazione delle parti.Il marrone. Altro colore decisamente ambivalente è il marrone, nei confronti del quale si ha spesso, a torto, un atteggiamento negativo. Il marrone nel mondo dell’infanzia rappresenta la gioia di vivere, il sano e sereno contatto con le cose terrene: la materialità vissuta attraverso i sensi. Le negatività del marrone sono legate più che altro all’introspezione ed al riflusso che si generano in età avanzata, quando il marrone non percepito come contatto con le cose genuine, viene associato all’arancio spento. Ne deriva una sorta di chiusura all’attività di propulsione dell’arancio, una perdita di vigore nel contatto con la realtà. Una lettura di questo genere porta il marrone ad essere utilizzato in sovrabbondanza. Le persone anziane sono spesso avide di blu e di marrone quando viene a mancare la vitalità attiva che il colore incarna. Gli aspetti negativi del marrone sono associati alla quantità. L’utilizzo saltuario di questo colore non implica necessariamente significati introspettivi. Il marrone è spesso il modo che abbiamo per restare in contatto con i valori genuini dell’esistenza. Le urgenze si manifestano sempre, e non soltanto nel caso del marrone, attraverso l’uso esasperato di determinati colori rispetto ad altri.Il rosa. E’ un colore che vive male i compromessi. Il rosa ha la particolarità di essere odiato o amato. Il suo significato rimanda all’idea di perfezione, l’utilizzo del rosa si lega a scelte non casuali, non è mai in sostituzione di un altro colore. La tipicità del rosa, in quanto colore che rimanda alla sfera femminile, non è sufficiente a farlo amare da tutte le donne, in quanto l’accettazione del rosa in età adulta dipende spesso dalla sua presenza o non presenza nell’infanzia e nella adolescenza. Studi di una certa importanza hanno evidenziato che si diventa avidi di rosa quando questo colore non ha accompagnato lo sviluppo della femminilità in età adolescenziale. In questi casi il rosa tende a recuperare il passato, riproponendolo come soluzione possibile al bisogno di delicatezza e femminilità. La sua natura fortemente simbolica lo colloca al di fuori delle scelte istintive.Il violetto. Da non confondere con il viola, il violetto è l’ultimo colore dello spettro del visibile. Questo significa che dopo il violetto le onde elettromagnetiche della luce si manifestano in un altro modo. L’abbronzatura della quale spesso andiamo fieri in estate è il passo successivo al violetto inteso come colore. Al violetto viene associato il fascino del profondo. E’ un colore mistico e sfuggente. La sua collocazione nello spettro del visibile, in prossimità del non colore, ne esalta le sue caratteristiche eteree che fanno del violetto un colore di specifico utilizzo e non di largo consumo. In opposizione al rosso come valore di permanenza retinica, non si impone.Suscita piuttosto sensazioni di appartenenza all’immateriale. Le ragioni del perché il violetto sia scarsamente utilizzato nella quotidianità risiedono proprio in queste caratteristiche che ne fanno una sorta di regione a sé, alla quale attingere nel momento del bisogno.Tra rosso e violetto è dunque è compresa la trasmissione delle onde elettromagnetiche presenti nella luce che si manifesta a noi sotto forma di colore. Le reazioni psicofisiche sono in diretto rapporto con le lunghezze d’onda e frequenze del colore. Se ne può facilmente dedurre che gli aspetti psicologici derivano essenzialmente dalla posizione dei colori nello spettro del visibile. Applicazioni del colore. Capita a tutti di guardare gli spot pubblicitari in televisione, quindi la cura esasperata di come vengono reclamizzati i prodotti non sarà sfuggita a nessuno. Dopo questo viaggio attraverso il mondo della visione e dei colori, possiamo aggiungere qualcosa in più a quella che è spesso una partecipazione passiva nei confronti della pubblicità. I colori sono sempre in diretto rapporto con i prodotti pubblicizzati e spesso ne determinano il linguaggio visivo. I primari si legano a prodotti di largo consumo come i giocattoli, le bibite e le auto di piccola cilindrata. Il blu nel linguaggio del colore serve per evidenziare i gialli, è quindi un colore adatto per far risaltare la pasta che risulterebbe di un giallo smorto se la confezione fosse grigia o marrone. Il blu usato da solo comunica solidità interiore, stabilità. Il marrone è il legame che abbiamo con le cose semplici della terra, viene utilizzato per lo più negli involucri dei prodotti alimentari. Non avrebbero alcuna fortuna giocattoli ed auto dipinti con questo colore. Se una pasticceria ha bisogno di toni caldi e tenui per stimolare il bisogno di dolci, al contrario, una macelleria si serve di toni freddi per esaltare il colore roseo della carne. Il rosso è spesso utilizzato nelle confezioni dei piccoli prodotti, comunica dinamismo ed energia. Al nero è dato il compito della solidità strutturale, se ne servono spesso i profumi ed altri prodotti intimamente legati alla sfera dell’io.

Noi e la storia

L’uomo necessariamente continuerà ad essere primitivo nei suoi atteggiamenti vitali. Per vivere dovrà continuare a nutrirsi, dovrà trovare il modo per farlo ed una volta fatto, penserà al resto. Il principio evolutivo dell’uomo non si lega alla sua struttura portante, si tratta in ogni caso di sviluppi accessori. Difficile riuscire a vedere il passato della storia dal punto di vista che ospita il nostro sguardo. Quando ci caliamo all’interno di questo mondo raccontato dai libri lo facciamo con i nostri panni, siamo di solito dentro una stanza accogliente e probabilmente la cena è già nel forno. Quella che possiamo avere è una visione stile “cinecittà”della vita di allora, senza odori, senza sofferenze senza paure. L’arte è ciò che più somiglia all’uomo nel suo essere, come scriveva Fidler, “una specie di lotta per l’esistenza spirituale, perché intimamente legata alla sua struttura originaria. Se vogliamo, è ciò che più che potentemente ci ricorda che non possiamo vivere di solo pane. Questo straordinario percorso sensibile che accompagna le sensazioni nel divenire materia sarà sempre nell’uomo e con l’uomo, solo che di volta in volta si sceglierà l’abito per sedersi a cena. Noi, indipendentemente dal ruolo di produttori o fruitori dell’oggetto estetico, saremo chiamati a partecipare all’evento. Di rassicurante c’è che è nella natura umana il non spezzare il cordone ombelicale che lega l’individuo alle origini della sua storia. Per quanto il progresso sarà un andare avanti, il bagaglio che ci porteremo appresso non potrà non essere costituito dal passato. Leggero o ingombrante sarà la nostra bussola per orientarci nei confronti dei nostri bisogni primari.La nostra, è un’epoca in cui l’operazione performativa, che è far riuscire la forma al massimo grado, porta con sé la conseguenza dell’invenzione che ne suggerisce l’aspetto esteriore. E’ esatto dire che il nostro tempo più che essere caratterizzato da una grande arte, vive di un’estetica eccellente. In questa nostra Era sempre più concettuale, quello di cui non si può fare a meno è entrare in contatto con nuove forme di conoscenza che consentano di avvicinarsi alle complessità di questo tempo. Vero è che i tempi mutano rapidamente e che se uno scultore oggi pensa di essere soltanto uno scultore è tendenzialmente assorbito da una forma di artigianato qualunque. Questa fase estetizzante che ancora governa la nostra epoca, evidenzia un limite, che è appunto quello della superficie. Diamo atto a questa tendenza di aver laicizzato l’arte, di averla portata fuori dai recinti sacrali dei musei. Non a caso l’esteticità e la mondanizzazione si ritrovano nella moda. L’oggetto studiato per assolvere alla funzione data, nato dall’alta cultura, tende ad avvicinarsi al prodotto di massa. Ne abbiamo esempi chiari nella esasperata cura d’immagine del prodotto industriale. Questa diramazione verso il basso porta comunque con sé il rischio della massificazione, da cui l’arte è chiamata a sottrarsi, per non essere vanificata nell’esteticità della cosa. Non potendo resuscitare una media cultura, sempre più compressa tra alta cultura e cultura di massa, all’arte non rimane che operare un ritorno alla storia, dalla quale ripartire per edificare il nuovo.Ripensare il mondo in termini culturali è porsi davanti ad un problema fondamentalmente etico. L’operazione artistica per quanto la si voglia intendere sotto un profilo di intellettualità, è pur sempre un’operazione di mestiere. L’artista per potersi esprimere si serve del medium espressivo e della conoscenza. Quello che le dissoluzioni di questa nostra epoca portano alla ribalta, è il mantenimento di questo difficile equilibrio, sopra il quale l’intenzione artistica si muove. Giunta a maturazione questa idea di cultura-memoria, si pone per l’arte la necessità di ricongiungere la manualità alla conoscenza. Quella che s’impone è una questione di metodo: in termini di spontaneità possiamo fare qualunque cosa, resta in ogni modo evidente quanto, soprattutto oggi, l’ambito culturale non ammetta un attraversamento ingenuo.La tecnica definisce un processo d’azione che tende a trasformare la conoscenza in un atto. Quello che fu realizzato in piena indipendenza nell’arte preistorica fu un modo di intendere la vitalità della forma come desiderio culturale legato ad operazioni sociali. Sebbene il senso primitivo che lega l’arte al rituale umano sopravviva nelle pietre delle nostre città, il rischio è che questo rapporto possa essere svuotato dall’insorgenza di nuove forme di arretratezza mentale. La pietra in quanto memoria della nostra cultura non è soltanto l’incontro tra l’uomo e architettura, è la carta di identità della storia. Come Marcel Duchamp auspicava già nel 1960, è necessario che l’artista lavori su quei livelli di comunicazione in grado di introdurre nella società effettivi trasferimenti di sapere, non rinunciando al ruolo di educatore sociale. L’arte è uno strumento di coscienza ed insieme un’attività metaforica che affonda le sue radici nella sensibilità umana. Se l’arte dei nostri giorni è più complessa di quella di ieri, le ragioni vanno ricercate nell’allargamento del linguaggio estetico. Se da artista fossi vissuto in un altro tempo, quello di cui mi sarei dovuto occupare sarebbe stato circoscritto all’uso delle tecniche e dei materiali. Oggi che la moderna tecnologia ci mette a disposizione l’infinità dei colori immaginabili e macchine che possono fare qualsiasi cosa, diventa necessario non perdere l’orientamento nei confronti della realtà che deve guidarci verso soluzioni che recuperino il senso vitale dell’operazione estetica. L’artista che si interroga è l’uomo che nell’arte cerca il mezzo per condensare domande alle quali dare risposte complesse, perché più che al presente sono rivolte al futuro.

Oggettivo e soggettivo

Oggettività e soggettività non possono non essere coinvolte dentro questa analisi. L’espressione è soggettiva, la comunicazione è oggettiva. La storia dell’arte di fine Ottocento ha vissuto questo dualismo attraverso le sue due principali correnti: Impressionismo ed Espressionismo. Utilizzare i temi dell’arte per affrontare il rapporto tra soggetto ed oggetto è riconoscere a queste due grandi stagioni, di aver operato una effettiva incidenza sul modo di pensare l’oggetto estetico, fornendo gli strumenti per focalizzare in un certo qual senso, estremizzandolo, il rapporto interno esterno. Le ragioni storiche che hanno portato alcuni pittori, detti poi “Impressionisti” ad occuparsi della realtà oggettiva, sono legate principalmente ad una sorta di ritirata dell’arte dalle barricate dei moti parigini. Terminata l’intensa stagione del Realismo francese, all’artista si presentò davanti un bivio: continuare a vivere il phatos del disagio civile oppure tornare alle condizioni della pittura. Gli Impressionisti decisero di mettersi il cavalletto in spalla e andare a dipingere la realtà per come si presenta, vista attraverso la scomposizione cromatica. Gli Espressionisti, continuando di fatto la stagione Realista, utilizzano la tavolozza per denunciare marcatamente il disagio della civiltà pre-industriale. Siamo in presenza delle due facce della medesima medaglia. Situazione tradotta in Francia come riva sinistra e riva destra della Senna. Se da un lato gli Impressionisti occupandosi della scomposizione cromatica fanno dell’arte pittorica un’importante campo di indagine per quel che riguarda il rapporto arte scienza, dall’altro lato la stagione espressionista tende ad indagare l’introspezione umana attraverso l’arte. La sintesi di riferimento è che mentre l’Impressionismo occupa la sfera dell’oggettività. L’Espressionismo riconduce al sentire drammatico dell’artista in termini di soggettività. Caratteristica dell’atteggiamento impressionista sarà l’uso del colore puro a macchia, mentre quello espressionista si legherà alla linea. Se ciò che è impressione può renderci neutrali, non si può dire altrettanto dell’esperienza patita in termini di soggettività. Lo spostamento è dall’oggetto al soggetto. L’Espressionismo è una forma d’arte che appartiene alla cultura dell’empatia, pressoché nulla si risolve in termini positivi perché il soggetto è chiamato a partecipare al dramma del suo sentire gli aspetti dissonanti della realtà. L’armonia delle cose è già una completezza della natura esterna all’individuo che può essere evidenziata da una oggettività pittorica. L’impressionismo fa suo lo spettacolo della natura che si manifesta attraverso la luce, lo rende vibrante e fruibile. L’impressionismo come fatto pittorico della percezione intende la pittura come conoscenza e come coscienza del guardare. L’espressionismo rivolge la lente di ingrandimento verso gli aspetti oscuri del sentire e dell’agire umano. Il risultato è la desublimazione della realtà presentata in termini opposti a quella del Simbolismo. Il phatos che muove la composizione espressionista non è un sentimento tranquillo, agisce come energia pura trasferendosi senza mediazioni sulla tela. L’estetica del brutto come diametralmente opposta alla concezione impressionista, riesuma la vitalità primordiale del graffito facendola riappartenere all’ansia dell’uomo che non trova una sua collocazione nella realtà vissuta. Parlare di matrice espressionista è cogliere nell’arte questo atteggiamento di fondo che porta l’uomo a vivere, esasperandolo, il rapporto con se stesso. Il passaggio dall’oggettività alla soggettività implica per l’opera una diversa esistenza: si passa in definitiva dal cosa significa al cosa è. Messa fuori gioco l’interpretazione oggettiva, l’arte solleva una urgenza che corrisponde al bisogno di identificarsi come autonoma rispetto al giudizio.Oggettività e soggettività rappresentano la polarità del sentire e del produrre arte. Per quanto una tendenza possa aggiungere o sottrarre energia a questi due modi di pensare la realtà, tutta l’esperienza artistica è di fatto compresa nel rapporto soggetto oggetto. Il linguaggio originario che segna l’appartenenza a queste due linee si salva costantemente nella concezione globale dei due modi di intendere l’arte.

Orizzontale e verticale

La storia insegna. Il Gotico attraverso il suo programma di elevazione verso Dio, si è servito della lievitazione orizzontale, costruendo chiese che si sviluppano in altezza per mezzo di bande disposte in sequenza ritmica. (Siena, Orvieto ecc). Questi straordinari esempi visivi che la storia ci ha consegnato, mettono in evidente crisi l’idea che spesso abbiamo della linea orizzontale. Walter Gropius (architetto) all’interno di una importante pubblicazione dal titolo “architettura integrata” mette bene in evidenza questo argomento mostrando degli esempi eloquenti, tutti a favore di questa tesi. Nel libro sono mostrate le immagini di due donne di pari dimensioni e fattezze identiche, in costume olimpionico. La prima veste un costume a bande orizzontali, la seconda a bande verticali. Quella che appare più slanciata è la prima, in quanto l’orizzontalità della linea conferisce ritmo al corpo seguendo la lievitazione verso l’alto.Sarà facile per chiunque provare quanto è stato detto, facendo un semplice esperimento che consiste nel tracciare su due quadrati di pari dimensioni strisce orizzontali e verticali. Messi uno accanto all’altro ad una certa distanza, il quadrato verticale ci apparirà più basso dell’altro.

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