mercoledì 12 agosto 2009


Alto e basso, sinistra e destra, hanno una loro energia ed una dimensione coloristica. Sinistra-blu. Destra - arancio. Sopra -bianco. Sotto - nero.L’immagine di un pattern visuale (immagine quadro) ha la sua anatomia dalla quale dipende l’efficacia del rapporto tra pattern ed agenti esterni. Dovendo inserire all’interno del quadro due cerchi che risultino di uguale misura e di pari bilanciamento, sarà necessario che il cerchio di sinistra sia leggermente più grande di quello di destra. Questo in virtù del fatto che la visione umana, per conformazione stereogrammatica, legge da sinistra verso destra. Per effetto della permanenza retinica, l’immagine di destra appare più grande. Se invece i cerchi da bilanciare fossero uno azzurro e l’altro arancio, l’equilibrio visuale è dato dalla collocazione del cerchio azzurro nella regione dell’arancio, e da quello arancio nella regione dell’azzurro. Per ottenere un effettivo bilanciamento all’interno di una immagine quadro, colori e forme devono trovare una loro collocazione in relazione alle loro specifiche caratteristiche di energie e peso. Nessuna grande opera d’arte in realtà è stata costruita con il bilancino in mano, come non è detto che l’equilibrio sia la condizione da voler raggiungere. E’ certo comunque che i grandi maestri del passato conoscevano le leggi compositive. Conoscere per trasgredire è la regola che forse può andar bene anche oggi.Nessuno potrà mai fornire teorie esatte ad uso e consumo della pittura; aggiungo che sarebbe inutile e stupido farlo. Significherebbe negare la stessa essenza dell’arte. La conoscenza ha una sua utilità quando è funzionale ad un bisogno. Le leggi che regolano l’equilibrio visivo hanno dalla loro il peso gelido di misure e proporzioni; provare ad umanizzarle non è un compito per niente facile. Possono servire nei momenti di debolezza creativa, possono venirci in soccorso quando lo scopo di quello che stiamo facendo ha valenza razionale.


Fascino e bellezza


Lo stesso paragone può essere fatto tra fascino e bellezza. Anche in questo caso la confusione che si genera nel giudizio di ciò che è fascinoso e bello non è da poco. Proviamo a chiarire meglio questo argomento che coinvolge noi, le persone che abbiamo accanto e quelle che, per un verso o per un altro, fanno parte della nostra vita. Come per la decorazione, la pura bellezza è fatta di numeri, di canoni, misure e proporzioni. Un viso bello ha come caratteristica un esatto rapporto tra le parti. Il suo progetto coincide con la costruzione ideale. Il terreno dove la bellezza raccoglie il consenso è l’oggettività. E’ oggettiva perché dipendente da un sistema logico. Anche quando diciamo che quella che abbiamo di fronte è una bellezza che non ci piace, di fatto facciamo una affermazione che avvalora questa tesi. Siamo pronti cioè a riconoscere che si tratta della bellezza, però noi stiamo cercando altro.Come ordine controllato, l’immagine bella, trova il maggiore riscontro nell’immediatezza. Il cervello tende ad assimilare rapidamente i canoni ma ha il benedetto o maledetto vizio di andare oltre. La pura bellezza come valore estetico tende a perdere forza di impatto con il trascorrere del tempo. Dopo qualche giorno la sola bellezza potrebbe non bastare a farci piacere un uomo o una donna. Il fascino corrisponde alla vitalità, all’espressione. Fondamentalmente il fascino è enigmatico e tende a concedersi poco alla volta. Il puro fascino stimola un linguaggio cerebrale complesso che mette fuori gioco l’individuo che lo subisce. Un volto fascinoso non ha caratteristiche di proporzione, ha quelle di unicità, non rimanda al genere ma alla persona. Quando diciamo che è bello ciò che piace, ci riferiamo al fascino, alla sua caratteristica individuale di unicità. Il fascino ovviamente può dipendere da più cose presenti nell’individuo. Il riferimento è spesso all’intelligenza, al carattere, al potere, all’uso della gestualità e della parola. Ciò che è enigmatico tende a sottrarsi alla digeribilità cerebrale, è l’oggetto del desiderio da continuare a scoprire e conoscere. Nel corso di queste pagine abbiamo imparato a convivere con l’idea che i contrasti polari trovano nell’equilibrio il massimo grado di convivenza dove le rispettive energie, incontrandosi, producono una dimensione altra. Bellezza e fascino presi come estremi della piacevolezza, possono non convivere all’interno dello stesso corpo ed essere caratteristica predominante di un singolo individuo. E’ possibile che una caratteristica prevalga sull’altra o che i due aspetti siano presenti in uguale misura all’interno della stessa persona. Se l’individuo fosse un’opera d’arte diremmo che questa forma di equilibrio corrisponde al “classico”. Come il linguaggio si compone di comunicazione ed espressione, l’individuo è fatto di fascino e bellezza. La nostra esperienza di vita ci dice che la forma di equilibrio in cui questa condizione è presente al massimo grado all’interno della stessa persona è piuttosto rara, come è raro d’altronde trovarsi in presenza di un linguaggio che sia fortemente comunicativo ed espressivo nello stesso tempo.Immagine e somiglianza. Tra i percorsi di conoscenza, merita sicuramente attenzione quello che conduce a noi stessi. Siccome l’immagine dalla quale non ci sottraiamo mai, sfugge alla nostra consapevolezza, dobbiamo ammettere che fondamentalmente ci conosciamo attraverso gli altri. Sebbene il tempo che passiamo con noi stessi non è poco, la consapevolezza di quello che siamo ci proviene dal mondo esterno. Quello che di certo possiamo dire è che somigliamo al nostro volto e soprattutto ai nostri occhi. L’affermazione fatta è meno banale di quanto può sembrare perché tira in ballo aspetti del nostro essere che in un certo qual modo sfuggono alla nostra consapevolezza. La parte anatomica più rilevante del viso è costituita dagli occhi che, prima ancora di essere lo specchio dell’anima, sono l’unica parte geometricamente definita del nostro corpo. A questo proposito tornano utili le nozioni acquisite sulla legge di semplicità che indicano nella forma circolare la figura geometricamente meglio recepita dall’occhio. Se, come abbiamo detto, l’occhio tende a vedere se stesso, il ragionamento va esteso a cosa vede di se stesso. Innanzi tutto la forma e successivamente il colore. Possiamo esser certi di riconoscere in una persona lo sguardo senza necessariamente ricordarci il colore degli occhi. Più che la forma è il colore dei nostri occhi che influenza le scelte che facciamo, almeno quelle di natura cromatica. La distinzione di primo livello tra chiarezza ed oscurità evidenzia che persone di carnagione chiara ed occhi chiari prediligono una scala cromatica più vasta. In particolar modo il loro gradimento coloristico si orienta all’interno del settore centrale della curva di luminosità. Questo tipo di tendenza è piuttosto evidente nell’abbigliamento. A differenza di persone di carnagione scura ed occhi scuri che prediligono una gamma più ristretta e caratterialmente definita, le persone bionde fanno uso dei gialli, degli aranci e di tutti i toni schiariti del verde e dell’azzurro. Studi di una certa attendibilità hanno provato che le persone con occhi chiari, in virtù del condizionamento coloristico dell’iride hanno maggiori possibilità di variare con più frequenza i colori del loro abbigliamento. La natura umana vive di compensazioni, la tendenza è quella all’equilibrio anche quando si tratta del rapporto interno esterno, sempre vivo in una persona. In qualche modo ci si presenta quotidianamente davanti ad un giudice che chiamiamo mondo. L’accettazione non passa mai per una sola strada, e questo va a vantaggio delle infinite sfaccettature di valore che come persone abbiamo. Possiamo essere belli, sensibili, intelligenti, determinati...possiamo essere insomma tante cose. Ognuna di queste cose è il passaporto che ci consente di viaggiare dentro gli occhi e le menti delle persone che incontriamo quotidianamente. Mi evito la banalità di dire che meglio sarebbe essere tutte queste cose insieme. Anche se è possibile, sappiamo che la vita terrena solitamente è più avare dei nostri stessi desideri. Quando si dice che è possibile che sia più stupida una persona esteticamente bella di una meno piacente, ci troviamo di fronte ad una affermazione da analizzare. Questo passaporto per viaggiare dentro gli occhi e le menti della gente può essere generato anche in assenza di una volontà individuale. La persona particolarmente bella deve fondamentalmente la sua esteticità a madre natura, e quindi il suo è un passaporto ricevuto in omaggio. Cosa diversa dal lasciapassare che le persone di media o bassa gradevolezza fisica devono costruirsi giorno per giorno attraverso l’impegno, lo studio ed il lavoro. Il mondo non analizza più di tanto, recepisce e basta. Quello che conta in definitiva è costruirsi la sfera del nostro personale successo, fatto magari di piccole cose. Importante è sentirsi dentro e non ai margini del mondo. Dire che ci conosciamo attraverso gli altri è recepire sotto forma di rimando quello che noi comunichiamo al mondo. Spesso questo segnale ci ritorna come giudizio. E’ questo giudizio che forma la coscienza di chi noi effettivamente siamo nei confronti della gente. Quando si dice che le persone molto belle non sono necessariamente felici è vero. Questo dipende dal rapporto tra quello che si è veramente e quello che il mondo recepisce della persona. Una soverchiante esteticità è di fatto un limite perché impedisce la costruzione di un valore altro che non sia quello già accettato. Normalmente questo genere di passaporto è un buon viatico per qualsiasi futuro, può comunque succedere che l’immagine comunicata non corrisponda a quella effettiva. La conseguente discordanza di fase può provocare, come è ovvio, inevitabili squilibri. Lo specchio è sempre troppo vicino per poterci dire chi effettivamente siamo.
Fisica del colore


Incominciare a trattare un argomento che riguarda il colore dicendo che il colore non esiste è qualcosa di sconcertante. Ci dovremmo accontentare di una definizione che indica come colore quella particolare sensazione prodotta dalle onde elettromagnetiche della luce che ad una determinata lunghezza d’onda si manifestano sotto forma di colore. Secondo tutti i racconti biblici la luce precedette l’origine di ogni cosa; visto che la fisica concorda con questa tesi, non resta che spiegare il perché di questo evento. Potrà sembrare per certi versi un percorso ostico quello che ci avviamo a percorrere, le nuove conoscenze in principio disarmano ma poi appassionano. Le ragioni del perché ci piace vestire di rosso invece che di blu hanno come origine questo percorso da leggere come funzionale alle tante risposte che nel proseguo potremo darci. Dopo tutto il compito di queste pagine è quello di dare in modo semplice più risposte possibili a domande che non possono eludere questioni fondate su presupposti di scienza. Per quanto si possa girare attorno all’argomento colore in termini di incidenza psicofisica, di applicazione funzionale alla vita di tutti i giorni, bisogna fare i conti con la natura della luce, unica depositaria di questa meraviglia che affascina le nostre menti. Proviamo ad incominciare dicendo che i raggi solari sono un tipo di onde elettromagnetiche simili a quelle trasmesse da una qualunque stazione radio. Può sembrare strano che la luce, non essendo percepibile attraverso l’udito, possa appartenere a questa famiglia. Cerchiamo di capire cosa si nasconde dietro questo ragionamento apparentemente infondato. La nostra esistenza è quotidianamente bombardata da onde elettromagnetiche, le quali si differenziano solo nell’avere lunghezze d’onda e frequenze diverse. Il visibile è una parte molto piccola della gamma delle onde elettromagnetiche. Tra i 380 nanometri del violetto fino ai 760 del rosso profondo, sono comprese le lunghezze d’onda che generano il colore. Dalle innocue onde radio ai distruttivi raggi gamma, il corpo umano offre risposte comportamentali alle sollecitazioni elettromagnetiche. Gli infrarossi ed i raggi ultravioletti rappresentano il limite entro il quale il visibile si manifesta ai nostri occhi. Per abitudine quando si vuole spiegare il fenomeno della propagazione luminosa si ricorre all’esempio del suono. A differenza del suono che si propaga nell’aria alla velocità di 300 metri al secondo, la luce viaggia anche nel vuoto alla ragguardevole velocità di 300.000 chilometri al secondo. Quello con il suono è un paragone che può farci fare il passo successivo, perché il problema della propagazione della luce nel vuoto è stato da sempre un problema difficile da risolvere. Sappiamo, per analogia con il suono, che le onde si propagano in un mezzo materiale che può essere l’aria, l’acqua, un corpo solido. La luce, percorrendo spazi interstellari ci giunge dal Sole che non è propriamente dietro l’angolo. La domanda è stata da sempre come può la luce viaggiare all’interno di un mezzo immateriale come il vuoto.Quello della propagazione della luce è un argomento che ha obbligato l’uomo sin dai tempi più antichi, con Aristotele, ad inventare una sostanza misteriosa chiamata etere, la quale avrebbe dovuto svolgere la stessa funzione che ha l’aria nei confronti del suono. L’etere, dai tempi di Aristotele fino al secolo scorso, più che un ipotetico mezzo di conduzione, ha rappresentato l’incapacità umana a comprendere come mai la luce potesse viaggiare indisturbata ad elevatissima velocità nel vuoto. La scienza che pure vive di certezze, si è dovuta accontentare, e lo ha fatto per moltissimi anni, di supposizioni non verificabili, riguardo l’esistenza di questa misteriosa sostanza di conduzione. Lo stesso Galileo che si era posto il problema della propagazione luminosa non poteva certo risolverlo con i mezzi che aveva a disposizione. Suo comunque è il merito di aver impostato il problema ripreso 250 anni dopo da Fizeau, fino a quando Michelson provò sperimentalmente che la luce viaggia indisturbata nel vuoto a 300.000 chilometri al secondo.

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