mercoledì 12 agosto 2009


Anatomia dell’occhio


L’apparato visivo è una perfetta organizzazione anatomica, dove ogni elemento si comporta in modo funzionale al compito che deve assolvere. La forma dell’occhio si avvicina a quella della sfera, il suo diametro è di circa 2,7 cm. Il bulbo oculare, non essendo costituito da materiali rigidi, mantiene la sua forma grazie al fluido presente al suo interno. Gran parte del rivestimento esterno dell’occhio è costituito da una membrana fibrosa chiamata sclera che nella parte anteriore assume le sembianze di una finestra trasparente chiamata cornea. La caratteristica della cornea è quella di essere più convessa della sclera. Questa parte anatomica, essendo priva di vasi sanguigni, può essere considerata indipendente dell’occhio. La massima deviazione dei segnali luminosi che formano l’immagine avviene sulla superficie corneale. Il compito fondamentale di questa membrana trasparente è quello di proteggere l’occhio dagli agenti esterni. Volendo fare un paragone facile, possiamo dire che la cornea somiglia al parabrezza della nostra auto che ci protegge da tutto quello che è esterno all’abitacolo. Sotto la cornea è situata l’iride che con la sua vasta gamma di pigmenti dona all’occhio quella intensa e particolare colorazione a noi tutti nota. La colorazione dell’iride che può variare nella gamma dei colori a noi conosciuti, non ha nessuna importanza ai fini della visione, serve soltanto a schermare l’occhio dai raggi provenienti dall’esterno. La sua funzione è quella di consentire alla luce di passare unicamente attraverso la pupilla, la quale altro non è che il foro dell’iride. Occhi di colore scuro ed intenso hanno una maggiore protezione di occhi chiari. La dilatazione della pupilla che può variare dai 2 agli 8 millimetri, riveste particolare importanza ai fini di una corretta visione, in quanto il suo scopo è quello di far passare lo stesso quantitativo di segnali luminosi. L’immagine proveniente dalla pupilla finisce sulla lente o cristallino che, grazie al suo comportamento concavo convesso, stimolato dal muscolo ciliare, ha il compito di accomodare la vista; al cristallino è dato il compito della messa a fuoco delle immagini. Quando la lente si accomoda sugli oggetti vicini, la tensione dei legamenti sospensori si allenta permettendo alla lente di assumere una forma convessa. La stessa lente si appiattisce quando mettiamo a fuoco oggetti lontani. Caratteristica della lente è quella di essere costituita da cellule che non si rinnovano e quindi con il passare del tempo la funzione del cristallino si irrigidisce dando luogo al difetto di presbidia, tipico nelle persone adulte. Mentre la lente è immediatamente dietro la pupilla ed in contatto con l’iride, maggiore distanza intercorre tra il cristallino e la retina. Questa distanza è colmata da una sostanza gelatinosa detta umor vitreo. I segnali luminosi accomodati dal cristallino, finiscono sulla retina che riveste la parte concava dell’occhio, la quale, tramite il nervo ottico, è in diretto contatto con il cervello. La sottile membrana che costituisce la retina, ricca di vasi sanguigni, è formata da cellule nervose. In prossimità del nervo ottico si trova la cavità foveale che è una piccola depressione avente lo scopo di raccogliere la prevalenza delle immagini che sotto forma di impulso elettrochimico vengono trasmesse al cervello.Fotorecettori della retina.La retina è formata da due gruppi di cellule, detti fotorecettori, i quali prendono il nome di coni e bastoncelli. I coni, prevalentemente raccolti in prossimità della fovea sono quelli che ci consentono una visione fotopica (a colori), mentre i bastoncelli ci permettono una visione chiaroscurale. Al contrario dei bastoncelli che sono attivi anche con pochissima luce, i coni necessitano di una buona stimolazione luminosa. Tutti i tipi di fotorecettori (coni e bastoncelli) in presenza di scarsa illuminazione si comportano come bastoncelli. La scoperta della funzione della retina è relativamente recente, se consideriamo il tempo intercorso tra le prime teorie sulla visione e la nascita dell’ottica moderna. Per scoprire il minuto popolo dei recettori si è dovuta attendere la scoperta del microscopio. Soltanto nel 1835 Trevianus ne formulò una descrizione simile a quella riconosciuta dalla scienza attuale. Essendo coni e bastoncelli cellule fotosensibili collegate alle fibre del nervo ottico, possono essere considerate in qualche modo una espansione del cervello. Quella particolare condizione di momentanea cecità che proviamo quando passiamo da una situazione di forte luminosità ad una che presenti una scarsa illuminazione, dipende dall’improvviso e mutato ruolo di coni e bastoncelli che si devono adattare velocemente ad una diversa condizione. Normalmente il passaggio dalla visione fotopica a quella scotopica avviene gradualmente e quindi le cellule fotosensibili hanno tutto il tempo per adattarsi alle condizioni di luminosità presenti al momento. In casi come questo, il passaggio è repentino e brusco, i coni che un istante prima erano preposti alla visione cromatica, assumono il ruolo di fotorecettori sensibili a pochi quanti di luce.Visione cromatica.L’aspetto che differenzia questi due gruppi di cellule della retina è di fondamentale importanza per quello che concerne la visione cromatica, la quale, dipende esclusivamente dai coni della retina. Va detto innanzi tutto che a vedere i colori non sono tutte le specie di animali. La visione cromatica dipende dalla conformazione dell’apparato visivo che si differenzia di specie in specie. La visione cromatica necessita di due condizioni fondamentali: che ci sia una fonte luminosa e che i coni presenti nella retina siano in grado di ricevere le stimolazioni della luce. Una grande importanza per l’acume visivo e la percezione dei colori è data dalla fovea centralis. Questa piccola depressione che potremmo definire una specie di imbuto dove finiscono le immagini cromatiche, ha l’importante compito di consentirci la visione a colori del mondo. Quando guardiamo un oggetto per vederlo meglio ruotiamo l’occhio, permettendo all’immagine di cadere dentro questa cavità. La particolare attività appena descritta si chiama riflesso di fissazione. Tutti i punti su cui fissiamo lo sguardo formano le immagini retiniche dentro la fovea che è l’unica parte dell’occhio dove sono presenti solo cellule fotorecettive coniche. La spiegazione del numero ridotto di questo tipo di cellule risiede nel fatto che queste sono direttamente collegate alle fibre nervose, in modo da poter funzionare come singole interconnessioni con il cervello. Non può essere così per tutti i coni e bastoncelli, in quanto il loro numero è di gran lunga superiore a quello delle fibre del nervo ottico. Ci sono circa 1.000.000 di fibre ottiche a fronte di 6.000.000 di coni e 100.000.000 di bastoncelli, ma tutto il lavoro più delicato è svolto da poche migliaia di coni presenti nella fovea centralis. Il campo visivo dell’occhio è la regione dello spazio esterno, tuttavia il campo visivo dell’occhio in movimento è più grande. Quando per vedere ruotiamo l’occhio, di fatto allarghiamo il campo visivo. Cellule coniche.Le cellule coniche a loro volta si suddividono in tre gruppi (immaginiamoci tre gruppi di raccattapalle in un campo di calcio), ognuno dei quali è sensibile a determinate lunghezze d’onda della luce. Una regione è sensibile alle lunghezze d’onda dei rossi e degli aranci, una sensibile alle lunghezze d’onda centrali dei verdi e dei gialli, e l’altra a quella dei blu e dei violetti. Ricevuto lo stimolo dall’oggetto che in quanto visibile è luminoso, tutti e tre i tipi di recettori catturano il segnale e lo inviano al cervello secondo le stimolazioni che hanno ricevuto. L’apparato cerebrale riceve dalla retina tre segnali distinti, i quali, vengono successivamente sommati nello stimolo risultante dell’oggetto osservato. I colori presenti in natura non sono quelli spettrali (arcobaleno) ma il risultato di una più complessa mescolanza di onde elettromagnetiche. Un’arancia che non esiteremmo a riconoscere nella sua colorazione tradizionale, riflette radiazioni tra i 510 ed i 680 nanometri. Questo vuol dire che lo stimolo ricevuto dall’occhio attiva i coni che possono rispondere a queste lunghezze d’onda. Al cervello arriva sempre una tripletta di segnali elettrochimici; se un gruppo non risponde a determinate lunghezze d’onda, manderà al cervello uno stimolo equivalente a zero. Ricorriamo alla televisione a colori per provare sperimentalmente in modo semplice la sostanza di queste affermazioni. Un esperimento che possiamo fare tutti e che non costa assolutamente nulla, consiste nello spruzzare una gocciolina d’acqua sullo schermo acceso della nostra televisione. Quello che la goccia evidenzierà, nel farci da lente di ingrandimento, saranno tre dischetti accorpati e ripetuti all’infinito, di colore rosso, verde e blu; colori primari generatori che, neanche a dirlo, corrispondono alle regioni di sensibilità cromatica dei coni della retina. Tutti i colori che vediamo nella televisione quando stiamo guardando un programma, da primari si generano in secondari, terziari ecc. Queste tre piccole luci opportunamente accese producono un colore invece che un altro. Se il dischetto blu è spento mentre verde e rosso sono accesi alla stessa intensità luminosa, come sintesi additiva otterremo il giallo che è appunto la somma del verde e del rosso per luci proiettate. E’ dalla costante e continua variazione di luminosità di questi dischetti presenti sullo schermo che si genera la sensazione di colore, la quale ci farà sembrare come naturali i colori che stiamo vedendo. D’altra parte è risaputo che un numero minimo di primari (tre) può dare origine ad una gamma vastissima di colorazioni possibili.Visone acromatica.Va comunque ricordato che se il serpente a sonagli è in grado di vedere anche l’infrarosso, la quasi totalità dei mammiferi non ha una visione cromatica. Insieme all’uomo vedono i colori gli insetti, i pesci e gli uccelli: l’acume visivo del falco è 7 volte il nostro. Avere una visione acromatica non significa dover fare i conti con una vista limitata. Ogni animale ha una visione funzionale alle esigenze di sopravvivenza. Per un predatore è più importante avere una visione periferica sensibile al movimento, ottimale anche in condizioni di scarsa illuminazione. Se noi, grazie alla visione periferica data dai bastoncelli, possiamo percepire il movimento in prossimità dell’orecchio, un felino che sia tigre o gatto, avverte il movimento fin dietro la testa. In luogo di una mancata visione cromatica, la presenza di una vasta scala di grigi, offre una più che lusinghiera visione a qualunque animale.

Nessun commento:

Posta un commento